Associazione Culturale Aristocrazia Europea

giovedì 20 dicembre 2012

AUGURI !

AUGURI! Il mio augurio è che il nostro Gesù Bambino, Re Sole del Natale Solstizio d'Inverno, porti giustizia sociale e vera pace al mondo, serenità e benessere (spirituale, fisico ed anche economico) a Voi, alle Vostre famiglie ed a tutti i Vostri cari. Preghiamo affinchè Dio protegga la nostra Europa Cristiana e benedica la nostra "buona battaglia ideale" in difesa della nostra Civiltà, della nostra Tradizione, della nostra Identità, della nostra libertà di popolo e della nostra sovranità di nazione. Natale 2012 - Capodanno 2013 (Roberto Jonghi Lavarini)

giovedì 13 dicembre 2012

Rapporto Nazionale sull'Araldica.

http://www.centrostudiaraldici.org/news/RapportoNazionaleStatoAraldica2012.pdf

lunedì 10 dicembre 2012

La Nobile Famiglia Borio.

La Nobile Famiglia BORIO di Burio, Costigliole, Tigliole ed Orzinuovi.
Per ritrovare le remotissime origini della famiglia Borio dobbiamo considerare le terre di più risalente concentrazione di questo cognome in Piemonte, ossia la zona tra il Monferrato e le Langhe. Nei secoli prima di Cristo vivevano in tutte le Alpi Occidentali i Liguri, a cui si aggiunsero, dopo il V Secolo a.C., i Galli o Celti. In particolare, tra Alba, Asti e la Valle del Tanaro (ossia proprio tra il Monferrato e le Langhe) si stanziò la tribù celtica dei Buriates o Eburiates, che fondarono il villaggio di Burio, ora una piccola frazione di Costigliole d’Asti, ma a quei tempi la loro “capitale”. Sempre a pochi chilometri da Costigliole si ritrovano, inoltre, Borio frazione di Barbaresco (verso Alba) e Burio frazione di Moasca (verso Nizza Monferrato). Continuando, nei pressi di Mondovì, come ci dice l’Amato Amati[1], si ritrovano Borio frazione di Lesegno e Borio frazione di Montaldo, mentre in posizione più decentrata si ha Casaleggio Borio (alias Boiro) in provincia di Alessandria. Tutte queste località, o parte di esse, potrebbero avere tratto il loro nome dai Buriates, come Burio di Costigliole (ma l’ipotesi è assai improbabile essendo tutti insediamenti di formazione molto più recente rispetto al periodo celtico), oppure dal sostantivo occitano “bòrio” che significa “casa rurale” o “maniero”[2]. Tuttavia sembra più verosimile che esse abbiano assunto la loro denominazione da dei Borio stanziatisi nei loro territori; tale fenomeno risulta molto diffuso soprattutto nei periodi più risalenti: un piccolo insediamento (come lo sono tutti quelli sopra citati) prendeva il nome dalla principale e più numerosa famiglia che lo abitava (come le località Borio di Ronco, Borio di Sezzadio, Bricco dei Borio di Costigliole e Bori di Novello). Infatti, in tali zone il cognome Borio è presente sin da antichissima data, come ci conferma il noto studioso monferrino Aldo di Ricaldone, che scrive “Ma esistette ed esiste tuttora, validamente rappresentata, la famiglia Borio...di nobiltà feudale che tenne parecchi castelli nell’astigiano e nell’alessandrino”[3]. Infatti la casata risulta avere la signoria di Sezzè (oggi Sezzadio) addirittura nel secolo XI (ove ancora attualmente una località porta il nome Borio) e sin da tempi remoti risulta distinguersi in vari borghi dell’astigiano e dell’albese, quali, per l’appunto, Costigliole d’Asti, Villanova d’Asti e Novello. Altro luogo in cui si trova ab immemorabile la presenza del cognome Borio è la città di Torino. Membri della famiglia sono citati nel Consiglio di Credenza di Torino sin dal 1199[4], essi appartenevano ad un ceto dominante, una sorta di patriziato locale che, legato al vescovo da vincoli vassallatici, occupavano i posti chiave nelle amministrazioni civili e religiose, possedevano il suolo urbano, beni nel distretto torinese e traevano dalla terra e dalle case buoni redditi, con cui controllare la finanza civile ed una pluralità di attività economiche. Torino ai suoi albori era un piccolo villaggio alla confluenza tra il Po ela Dora e presso lo sbocco della Valle di Susa. La zona era abitata dai Taurini, popolo che nasceva proprio dalla fusione tra i Liguri ed i Galli. Ora, non possiamo sapere se i Borio torinesi fossero autoctoni o provenissero dalle regioni sud-occidentali del Piemonte, ma sicuramente questo cognome appare sempre in qualche modo legato a luoghi d’insediamento dell’antico popolo dei Liguri e dei Celti. Considerato quanto sopra esposto, è verosimile ritenere che il cognome in questione fosse un toponimo, ossia potrebbe essere stato assunto da vari nuclei famigliari, probabilmente imparentati tra loro, provenienti da una località denominata “Borio” o “Burio” corrispondente ad uno dei territori sopra considerati. A sostegno di ciò risulta anche l’antica forma del cognome che, solitamente, appare al genitivo che potremmo definire “di provenienza” (tradotta in italiano preceduta dalla particella “di”[5]) e spesso scritta come “Burio” (si vedano i vari atti anagrafici più risalenti, particolarmente in Costigliole e Novello); considerata l’estrema antichità del cognome si spiega anche la significativa diramazione della famiglia in varie zone del Piemonte. Ma possiamo andare oltre nell’analisi dell’origine della famiglia, per arrivare a conclusioni eccezionali ed assai verosimili. Don Paolo Prunotto in un suo recente studio storico su Costigliole d’Asti [6], in merito ai Borio di quel luogo, di cui si scriverà abbondantemente nel capitolo seguente, riporta quanto segue: “[omissis].Sembra, da documenti antichi risalenti almeno al XIII secolo, che esponenti di tale famiglia [Borio] dimorassero già all’epoca nel territorio del nostro Comune (nel patto di fedeltà tra gli abitanti del nostro paese a la città di Asti datato 13 luglio 1198, tra i nomi dei personaggi abbienti che giurarono fedeltà compare un tale Guglielmo dei Burri, cognome in cui sembra possa ravvisarsi un esponente di tale famiglia) [omissis]”. Dunque questo Guglielmo dei Burri potrebbe essere il capostipite dei Borio di Costigliole; egli proveniva dalla castellania di Burio di Costigliole. Considerato il periodo assai risalente, non è del tutto azzardato ritenere che questo Guglielmo fosse i capostipite di tutti i Borio e avesse sangue di quella tribù celtica, probabilmente mescolato a qualche gene romano. Senza dover scomodare la mitologia o ricorrere a fantasiose ricostruzioni storiche, come accadde per grandi e nobilissime famiglie che vollero fare risalire a tempi remotissimi le proprie origine, ecco che i Borio possono ritrovare le proprie radici, con una certo verosimiglianza, in quella castellania di Burio e, perché no, magari con qualche goccia di sangue di quella tribù celtica. Altra ipotesi sull’origine del cognome sarebbe, invece, che esso sia in realtà un patronimico, derivante dal nome proprio latino “Borius” oppure “Boverio”; quest’ultimo nome, che divenne poi anche un cognome tipico di quelle zone, appare nella famiglia aleramica dei Del Vasto, signori proprio delle terre di primordiale origine della famiglia (ossia Agliano, Loreto, Burio etc., si veda il capitolo sui Borio di Villanova). Comunque sia, si può tranquillamente affermare che già alla fine dell’300 la famiglia poteva essere raggruppata in due ceppi principali, ossia: quello di Costigliole, che probabilmente, data l’antichità (ante 1198, come detto) rappresenta il nucleo originario di tutti i Borio e che si diramò sicuramente a Tigliole e, poi, nelle Langhe, ossia a Novello e da li a Niella Tanaro, Bene Vagenna, Cavallermaggiore e Marene (con lo stemma di rosso al gallo d’oro posto su di un monte di tre cime di verde) e quello di Villanova d’Asti (di cui si hanno notizie dalla metà del 1300) che si diramò sicuramente in Moncalieri, Chieri, Andezeno, Pecetto e Carmagnola, della cui città vari esponenti furono più volte sindaci[7] (con lo stemma d’azzurro alla banda d’argento caricata da un leone di nero lampassato di rosso). E’ bene sottolineare che tutte le principali località sopra indicate, ed in particolare Costigliole, Tigliole, Novello, Bene Vagenna, Niella Tanaro e Villanova sono situate in un raggio geografico massimo di trentacinque chilometri; considerando, pertanto, la vicinanza e l’antichità del cognome, si può ritenere che tutti i rami possano avere, molto verosimilmente, una comune origine. Rimangono esclusi dalla suddetta “mappatura”, poiché di pressoché impossibile collocazione, data l’antichità del periodo, i Borio di Torino, presenti in città prima del 1199, come detto, ed i Borio del Canavese (Vialfrè, Ciriè e Balangero). Infine, si riscontra una famiglia antichissima autoctona di Ronco di Cossato, di cui una contrada porta ancora il nome Borio, che si diramò poi nel Biellese (Biella e Gaglianico, ove i fratelli Giovanni Battista, Giacomo e Giovanni Borio vengono infeudati di beni feudali il 23 agosto 1692). In Vialfrè risultano antichissimi abitanti, da li, probabilmente si diramano a Ciriè, ove appaiono tra le principali famiglie e siedono nel Consiglio di Credenza almeno dal 1391[8], forse nella persona stessa di quel Bertino castellano di Balangero alla fine dell’300 (Ciriè e Balangero distano solo otto chilometri). Giovannino Borio acquista nel 1580 alcune terre feudali alla Pié di San Carlo (Ciriè) e ne viene investito tardivamente nel 1602[9]. Come ci ricorda una lapide datata 10 dicembre 1647 nell’antica sacrestia di S. Giuseppe in Ciriè, i coniugi D. D. Giuseppe e Genta Borio provvedono aere proprio alla decorazione della nuova chiesa fondando un legato con l’onere della celebrazione di un funerale in loro suffragio e di una messa mensile ed in perpetuo (che si celebra ancora oggi). Gli stessi coniugi, infine, donarono alcune terre alla Parrocchia site sempre in S. Carlo, località S. Luca, che furono vendute solamente nel 1973[10]. A Marene, allora nel territorio di Savigliano, appaiono cospicui. Si ricorda Vincenzo (n. 1580 circa) di Giovanni (n. 1540 circa), che, in occasione delle nozze della figlia Maria con il Nobile Giovan Battista di Chiaffredo Testa di Savigliano, costituisce il 21 aprile 1623 una dote di 600 fiorini ed alcuni gioielli ed indumenti alquanto preziosi[11]. Un altro Vincenzo, causidico, il 9 luglio 1700 risulta procuratore in Casale del Monastero della Visitazione di S. Maria di Torino[12]. A Bene Vagenna si deve ricordare in particolar modo il Signor “Mareschiale” Giovanni Domenico Borio di Gualino, mareschiale della compagnia del signor conte Todesco, ferito da una moschettata durante l’assedio di Valenza del 1641, al quale il Duca concesse Lire 600 in riconoscimento dei suoi servizi[13] ed al quale la Duchessa di Savoia concesse un vitalizio al termine della sua carriera per “longa fedele servitù” con patente del 30 gennaio 1677[14]. Altro Giovanni Domenico, forse di Bene oppure di Costigliole, risulta nominato “aiutante del maggiore della città di Asti” con patenti del 30 novembre 1690 della Duchessa Anna di Savoia-Orleans[15]. A Villanova d’Asti fiorirono in particolar modo. Di questa famiglia se ne darà di seguito una genealogia, sebbene parziale. Si pensa, data l’estrema vicinanza geografica, che anche i Borio di Andezeno e di Chieri, paese confinante con Villanova, appartengano allo stesso ceppo. In particolare i Borio di Chieri tentarono senza successo un consegnamento d’arma il 5 maggio 1580 nelle persone di Messer Giovanni e di Messer Giovanni Battista Borio, alfiere di Milizie, ma di uno stemma diverso rispetto a quella dei Borio di Villanova e Moncalieri (ossia “un bufalo”) e che, nel verbale del consegnamento, viene detto come spedito da Milano[16]. Inoltre, si ha notizie di una Madonna Maria del fu Messer Michele Bori di Chieri vedova prima del fu Pietrino Bertola, et in secondo del fu Messer Gianni Corbella con casa propria a Torino nel Borgo di Po[17]. Questa famiglia di Chieri, in verità, anche se trascritta come “Borio” nei consegnamenti, potrebbe essere un ramo della famiglia Bori o Borri di Milano, della quale un altro ramo piemontese, detto Burri o de Burris, aveva la signoria di Vespolate, con il medesimo stemma d’argento al bue passante di nero.

mercoledì 5 dicembre 2012

Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York.

Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester inaugurate the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, at the Pontifical Scots College, Rome. During their recent visit to Rome, on November 30th, the feast of St Andrew, Patron Saint of Scotland, Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester visited the Pontifical Scots College. Among the various events of the visit, the Duke of Gloucester unveiled a reproduction of the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, painted by Marco Foppoli (AIH) and donated by the artist with the consent of the Cardinal Henry Stuart Society of Rome, who own the original painting, which joins several Stuart portraits in decorating the new lecture theatre dedicated to the Cardinal Duke of York. The reproduction of the coat of arms of the last descendant of the Royal House of Stuart, of England, Scotland, Ireland and Wales, who lived and died in Rome, was appreciated by HRH the Duke of Gloucester who said he was honored to inaugurate the arms of his "Cousin". HRH The Duke of Gloucester unveils the restored arms of Cardinal York painted by Marco Foppoli (AIH) at the Pontifical Scots College, Rome. 30 November 2012 http://www.flickr.com/photos/ukinholysee/8235059867/
I Duchi di Gloucester inaugurano lo stemma del Cardinale Enrico Stuart al "Pontifical Scots College" di Roma. Durante la recente visita romana delle LL.AA.RR. il Duca e la Duchessa di Gloucester, il 30 novembre, giorno di S. Andrea, hanno visitato il Pontifical Scots College di Roma. Tra le varie iniziative della visita i Duchi di Gloucester hanno scoperto una riproduzione dello stemma del Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York dipinto da Marco Foppoli (AIH) e donato dall'araldista in accordo con il Comitato del Cardinale Enrico Stuart di Roma al Pontifical Scots College che ha dedicato alla memoria del Cardinale di York la sala conferenze del Collegio. La riproduzione dello stemma dell'ultimo discendente della Casa Reale degli Stuart d'Inghilterra, Scozia e Irlanda - che visse e morì a Roma -, è stato apprezzato da S.A.R. il Duca di Gloucester che si è detto onorato di inaugurare lo stemma di suo "Cugino".

Istituto del Sacro Romano Impero.

martedì 4 dicembre 2012

Beato Imperatore Carlo.

Roberto Jonghi Lavarini Vi invita a partecipare alla presentazione del libro sul Beato Carlo d'Asburgo, ultimo Imperatore erede del Sacro Romano Impero. Interverrà Sua Altezza Imperiale l'Arciduca Martino d'Austria-Este.
Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore. Presentazione del libro: "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore". Martedì 4 dicembre 2012, ore 18.00 sala Maria Teresa, Milano, via Brera 28. Martedì 4 dicembre, Ore 18.00 nella sala Maria Teresa della Biblioteca Nazionale Braidense, a Milano in via brera 28 viene presentato il volume "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore" di Roberto Coaloa. Ne discutono con l’autore Giorgio Mosci, (editore Il Canneto di Genova), Monsignor Arnaldo Morandi, l’Arciduca Martino d'Austria-Este (nipote dell'ultimo Imperatore), Marco Carminati, Giorgio Galli, Martino Negri e Igor Sibaldi. Il «gentiluomo europeo», profeta di pace nella Grande guerra. L’avvento al trono di Carlo, ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria, rappresenta l'atto finale di una epopea secolare finalmente restituita al valore che ebbe sulla Grande Guerra. La fine dell’Austria Felix è preludio dei fatali totalitarismi del Novecento e chiude per sempre l’era più feconda della Vecchia Europa. Carlo fu un progressista, nonché moderno, rispetto a suo prozio Francesco Giuseppe. Fu il primo tra i sovrani europei ad installare i telefoni nel suo palazzo imperiale per le comunicazioni interne, il primo a guidare l’automobile, il primo a volare su un aeroplano. L’ultimo imperatore fu straordinariamente attuale anche nei rapporti con la moglie, l’imperatrice Zita, che trattò da pari a pari, impensabile per l’epoca. Un personaggio moderno, ma dalle radici antiche, quasi medievali, legate ad un atavismo di santi e cavalieri, che non facilitò l’imperatore nelle relazioni con la cinica diplomazia europea e americana d’inizio Novecento. Cresciuto in un ambiente in cui la parola data aveva un senso profondo, per il «gentiluomo europeo» era inconcepibile, ad esempio, il fatto che Miklós Horthy non mantenesse la propria parola. O che un uomo del suo entourage come il ministro degli esteri, Ottokar Czernin, approfittasse di un suo malessere per