Associazione Culturale Aristocrazia Europea

giovedì 20 dicembre 2012

AUGURI !

AUGURI! Il mio augurio è che il nostro Gesù Bambino, Re Sole del Natale Solstizio d'Inverno, porti giustizia sociale e vera pace al mondo, serenità e benessere (spirituale, fisico ed anche economico) a Voi, alle Vostre famiglie ed a tutti i Vostri cari. Preghiamo affinchè Dio protegga la nostra Europa Cristiana e benedica la nostra "buona battaglia ideale" in difesa della nostra Civiltà, della nostra Tradizione, della nostra Identità, della nostra libertà di popolo e della nostra sovranità di nazione. Natale 2012 - Capodanno 2013 (Roberto Jonghi Lavarini)

giovedì 13 dicembre 2012

Rapporto Nazionale sull'Araldica.

http://www.centrostudiaraldici.org/news/RapportoNazionaleStatoAraldica2012.pdf

lunedì 10 dicembre 2012

La Nobile Famiglia Borio.

La Nobile Famiglia BORIO di Burio, Costigliole, Tigliole ed Orzinuovi.
Per ritrovare le remotissime origini della famiglia Borio dobbiamo considerare le terre di più risalente concentrazione di questo cognome in Piemonte, ossia la zona tra il Monferrato e le Langhe. Nei secoli prima di Cristo vivevano in tutte le Alpi Occidentali i Liguri, a cui si aggiunsero, dopo il V Secolo a.C., i Galli o Celti. In particolare, tra Alba, Asti e la Valle del Tanaro (ossia proprio tra il Monferrato e le Langhe) si stanziò la tribù celtica dei Buriates o Eburiates, che fondarono il villaggio di Burio, ora una piccola frazione di Costigliole d’Asti, ma a quei tempi la loro “capitale”. Sempre a pochi chilometri da Costigliole si ritrovano, inoltre, Borio frazione di Barbaresco (verso Alba) e Burio frazione di Moasca (verso Nizza Monferrato). Continuando, nei pressi di Mondovì, come ci dice l’Amato Amati[1], si ritrovano Borio frazione di Lesegno e Borio frazione di Montaldo, mentre in posizione più decentrata si ha Casaleggio Borio (alias Boiro) in provincia di Alessandria. Tutte queste località, o parte di esse, potrebbero avere tratto il loro nome dai Buriates, come Burio di Costigliole (ma l’ipotesi è assai improbabile essendo tutti insediamenti di formazione molto più recente rispetto al periodo celtico), oppure dal sostantivo occitano “bòrio” che significa “casa rurale” o “maniero”[2]. Tuttavia sembra più verosimile che esse abbiano assunto la loro denominazione da dei Borio stanziatisi nei loro territori; tale fenomeno risulta molto diffuso soprattutto nei periodi più risalenti: un piccolo insediamento (come lo sono tutti quelli sopra citati) prendeva il nome dalla principale e più numerosa famiglia che lo abitava (come le località Borio di Ronco, Borio di Sezzadio, Bricco dei Borio di Costigliole e Bori di Novello). Infatti, in tali zone il cognome Borio è presente sin da antichissima data, come ci conferma il noto studioso monferrino Aldo di Ricaldone, che scrive “Ma esistette ed esiste tuttora, validamente rappresentata, la famiglia Borio...di nobiltà feudale che tenne parecchi castelli nell’astigiano e nell’alessandrino”[3]. Infatti la casata risulta avere la signoria di Sezzè (oggi Sezzadio) addirittura nel secolo XI (ove ancora attualmente una località porta il nome Borio) e sin da tempi remoti risulta distinguersi in vari borghi dell’astigiano e dell’albese, quali, per l’appunto, Costigliole d’Asti, Villanova d’Asti e Novello. Altro luogo in cui si trova ab immemorabile la presenza del cognome Borio è la città di Torino. Membri della famiglia sono citati nel Consiglio di Credenza di Torino sin dal 1199[4], essi appartenevano ad un ceto dominante, una sorta di patriziato locale che, legato al vescovo da vincoli vassallatici, occupavano i posti chiave nelle amministrazioni civili e religiose, possedevano il suolo urbano, beni nel distretto torinese e traevano dalla terra e dalle case buoni redditi, con cui controllare la finanza civile ed una pluralità di attività economiche. Torino ai suoi albori era un piccolo villaggio alla confluenza tra il Po ela Dora e presso lo sbocco della Valle di Susa. La zona era abitata dai Taurini, popolo che nasceva proprio dalla fusione tra i Liguri ed i Galli. Ora, non possiamo sapere se i Borio torinesi fossero autoctoni o provenissero dalle regioni sud-occidentali del Piemonte, ma sicuramente questo cognome appare sempre in qualche modo legato a luoghi d’insediamento dell’antico popolo dei Liguri e dei Celti. Considerato quanto sopra esposto, è verosimile ritenere che il cognome in questione fosse un toponimo, ossia potrebbe essere stato assunto da vari nuclei famigliari, probabilmente imparentati tra loro, provenienti da una località denominata “Borio” o “Burio” corrispondente ad uno dei territori sopra considerati. A sostegno di ciò risulta anche l’antica forma del cognome che, solitamente, appare al genitivo che potremmo definire “di provenienza” (tradotta in italiano preceduta dalla particella “di”[5]) e spesso scritta come “Burio” (si vedano i vari atti anagrafici più risalenti, particolarmente in Costigliole e Novello); considerata l’estrema antichità del cognome si spiega anche la significativa diramazione della famiglia in varie zone del Piemonte. Ma possiamo andare oltre nell’analisi dell’origine della famiglia, per arrivare a conclusioni eccezionali ed assai verosimili. Don Paolo Prunotto in un suo recente studio storico su Costigliole d’Asti [6], in merito ai Borio di quel luogo, di cui si scriverà abbondantemente nel capitolo seguente, riporta quanto segue: “[omissis].Sembra, da documenti antichi risalenti almeno al XIII secolo, che esponenti di tale famiglia [Borio] dimorassero già all’epoca nel territorio del nostro Comune (nel patto di fedeltà tra gli abitanti del nostro paese a la città di Asti datato 13 luglio 1198, tra i nomi dei personaggi abbienti che giurarono fedeltà compare un tale Guglielmo dei Burri, cognome in cui sembra possa ravvisarsi un esponente di tale famiglia) [omissis]”. Dunque questo Guglielmo dei Burri potrebbe essere il capostipite dei Borio di Costigliole; egli proveniva dalla castellania di Burio di Costigliole. Considerato il periodo assai risalente, non è del tutto azzardato ritenere che questo Guglielmo fosse i capostipite di tutti i Borio e avesse sangue di quella tribù celtica, probabilmente mescolato a qualche gene romano. Senza dover scomodare la mitologia o ricorrere a fantasiose ricostruzioni storiche, come accadde per grandi e nobilissime famiglie che vollero fare risalire a tempi remotissimi le proprie origine, ecco che i Borio possono ritrovare le proprie radici, con una certo verosimiglianza, in quella castellania di Burio e, perché no, magari con qualche goccia di sangue di quella tribù celtica. Altra ipotesi sull’origine del cognome sarebbe, invece, che esso sia in realtà un patronimico, derivante dal nome proprio latino “Borius” oppure “Boverio”; quest’ultimo nome, che divenne poi anche un cognome tipico di quelle zone, appare nella famiglia aleramica dei Del Vasto, signori proprio delle terre di primordiale origine della famiglia (ossia Agliano, Loreto, Burio etc., si veda il capitolo sui Borio di Villanova). Comunque sia, si può tranquillamente affermare che già alla fine dell’300 la famiglia poteva essere raggruppata in due ceppi principali, ossia: quello di Costigliole, che probabilmente, data l’antichità (ante 1198, come detto) rappresenta il nucleo originario di tutti i Borio e che si diramò sicuramente a Tigliole e, poi, nelle Langhe, ossia a Novello e da li a Niella Tanaro, Bene Vagenna, Cavallermaggiore e Marene (con lo stemma di rosso al gallo d’oro posto su di un monte di tre cime di verde) e quello di Villanova d’Asti (di cui si hanno notizie dalla metà del 1300) che si diramò sicuramente in Moncalieri, Chieri, Andezeno, Pecetto e Carmagnola, della cui città vari esponenti furono più volte sindaci[7] (con lo stemma d’azzurro alla banda d’argento caricata da un leone di nero lampassato di rosso). E’ bene sottolineare che tutte le principali località sopra indicate, ed in particolare Costigliole, Tigliole, Novello, Bene Vagenna, Niella Tanaro e Villanova sono situate in un raggio geografico massimo di trentacinque chilometri; considerando, pertanto, la vicinanza e l’antichità del cognome, si può ritenere che tutti i rami possano avere, molto verosimilmente, una comune origine. Rimangono esclusi dalla suddetta “mappatura”, poiché di pressoché impossibile collocazione, data l’antichità del periodo, i Borio di Torino, presenti in città prima del 1199, come detto, ed i Borio del Canavese (Vialfrè, Ciriè e Balangero). Infine, si riscontra una famiglia antichissima autoctona di Ronco di Cossato, di cui una contrada porta ancora il nome Borio, che si diramò poi nel Biellese (Biella e Gaglianico, ove i fratelli Giovanni Battista, Giacomo e Giovanni Borio vengono infeudati di beni feudali il 23 agosto 1692). In Vialfrè risultano antichissimi abitanti, da li, probabilmente si diramano a Ciriè, ove appaiono tra le principali famiglie e siedono nel Consiglio di Credenza almeno dal 1391[8], forse nella persona stessa di quel Bertino castellano di Balangero alla fine dell’300 (Ciriè e Balangero distano solo otto chilometri). Giovannino Borio acquista nel 1580 alcune terre feudali alla Pié di San Carlo (Ciriè) e ne viene investito tardivamente nel 1602[9]. Come ci ricorda una lapide datata 10 dicembre 1647 nell’antica sacrestia di S. Giuseppe in Ciriè, i coniugi D. D. Giuseppe e Genta Borio provvedono aere proprio alla decorazione della nuova chiesa fondando un legato con l’onere della celebrazione di un funerale in loro suffragio e di una messa mensile ed in perpetuo (che si celebra ancora oggi). Gli stessi coniugi, infine, donarono alcune terre alla Parrocchia site sempre in S. Carlo, località S. Luca, che furono vendute solamente nel 1973[10]. A Marene, allora nel territorio di Savigliano, appaiono cospicui. Si ricorda Vincenzo (n. 1580 circa) di Giovanni (n. 1540 circa), che, in occasione delle nozze della figlia Maria con il Nobile Giovan Battista di Chiaffredo Testa di Savigliano, costituisce il 21 aprile 1623 una dote di 600 fiorini ed alcuni gioielli ed indumenti alquanto preziosi[11]. Un altro Vincenzo, causidico, il 9 luglio 1700 risulta procuratore in Casale del Monastero della Visitazione di S. Maria di Torino[12]. A Bene Vagenna si deve ricordare in particolar modo il Signor “Mareschiale” Giovanni Domenico Borio di Gualino, mareschiale della compagnia del signor conte Todesco, ferito da una moschettata durante l’assedio di Valenza del 1641, al quale il Duca concesse Lire 600 in riconoscimento dei suoi servizi[13] ed al quale la Duchessa di Savoia concesse un vitalizio al termine della sua carriera per “longa fedele servitù” con patente del 30 gennaio 1677[14]. Altro Giovanni Domenico, forse di Bene oppure di Costigliole, risulta nominato “aiutante del maggiore della città di Asti” con patenti del 30 novembre 1690 della Duchessa Anna di Savoia-Orleans[15]. A Villanova d’Asti fiorirono in particolar modo. Di questa famiglia se ne darà di seguito una genealogia, sebbene parziale. Si pensa, data l’estrema vicinanza geografica, che anche i Borio di Andezeno e di Chieri, paese confinante con Villanova, appartengano allo stesso ceppo. In particolare i Borio di Chieri tentarono senza successo un consegnamento d’arma il 5 maggio 1580 nelle persone di Messer Giovanni e di Messer Giovanni Battista Borio, alfiere di Milizie, ma di uno stemma diverso rispetto a quella dei Borio di Villanova e Moncalieri (ossia “un bufalo”) e che, nel verbale del consegnamento, viene detto come spedito da Milano[16]. Inoltre, si ha notizie di una Madonna Maria del fu Messer Michele Bori di Chieri vedova prima del fu Pietrino Bertola, et in secondo del fu Messer Gianni Corbella con casa propria a Torino nel Borgo di Po[17]. Questa famiglia di Chieri, in verità, anche se trascritta come “Borio” nei consegnamenti, potrebbe essere un ramo della famiglia Bori o Borri di Milano, della quale un altro ramo piemontese, detto Burri o de Burris, aveva la signoria di Vespolate, con il medesimo stemma d’argento al bue passante di nero.

mercoledì 5 dicembre 2012

Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York.

Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester inaugurate the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, at the Pontifical Scots College, Rome. During their recent visit to Rome, on November 30th, the feast of St Andrew, Patron Saint of Scotland, Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester visited the Pontifical Scots College. Among the various events of the visit, the Duke of Gloucester unveiled a reproduction of the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, painted by Marco Foppoli (AIH) and donated by the artist with the consent of the Cardinal Henry Stuart Society of Rome, who own the original painting, which joins several Stuart portraits in decorating the new lecture theatre dedicated to the Cardinal Duke of York. The reproduction of the coat of arms of the last descendant of the Royal House of Stuart, of England, Scotland, Ireland and Wales, who lived and died in Rome, was appreciated by HRH the Duke of Gloucester who said he was honored to inaugurate the arms of his "Cousin". HRH The Duke of Gloucester unveils the restored arms of Cardinal York painted by Marco Foppoli (AIH) at the Pontifical Scots College, Rome. 30 November 2012 http://www.flickr.com/photos/ukinholysee/8235059867/
I Duchi di Gloucester inaugurano lo stemma del Cardinale Enrico Stuart al "Pontifical Scots College" di Roma. Durante la recente visita romana delle LL.AA.RR. il Duca e la Duchessa di Gloucester, il 30 novembre, giorno di S. Andrea, hanno visitato il Pontifical Scots College di Roma. Tra le varie iniziative della visita i Duchi di Gloucester hanno scoperto una riproduzione dello stemma del Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York dipinto da Marco Foppoli (AIH) e donato dall'araldista in accordo con il Comitato del Cardinale Enrico Stuart di Roma al Pontifical Scots College che ha dedicato alla memoria del Cardinale di York la sala conferenze del Collegio. La riproduzione dello stemma dell'ultimo discendente della Casa Reale degli Stuart d'Inghilterra, Scozia e Irlanda - che visse e morì a Roma -, è stato apprezzato da S.A.R. il Duca di Gloucester che si è detto onorato di inaugurare lo stemma di suo "Cugino".

Istituto del Sacro Romano Impero.

martedì 4 dicembre 2012

Beato Imperatore Carlo.

Roberto Jonghi Lavarini Vi invita a partecipare alla presentazione del libro sul Beato Carlo d'Asburgo, ultimo Imperatore erede del Sacro Romano Impero. Interverrà Sua Altezza Imperiale l'Arciduca Martino d'Austria-Este.
Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore. Presentazione del libro: "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore". Martedì 4 dicembre 2012, ore 18.00 sala Maria Teresa, Milano, via Brera 28. Martedì 4 dicembre, Ore 18.00 nella sala Maria Teresa della Biblioteca Nazionale Braidense, a Milano in via brera 28 viene presentato il volume "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore" di Roberto Coaloa. Ne discutono con l’autore Giorgio Mosci, (editore Il Canneto di Genova), Monsignor Arnaldo Morandi, l’Arciduca Martino d'Austria-Este (nipote dell'ultimo Imperatore), Marco Carminati, Giorgio Galli, Martino Negri e Igor Sibaldi. Il «gentiluomo europeo», profeta di pace nella Grande guerra. L’avvento al trono di Carlo, ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria, rappresenta l'atto finale di una epopea secolare finalmente restituita al valore che ebbe sulla Grande Guerra. La fine dell’Austria Felix è preludio dei fatali totalitarismi del Novecento e chiude per sempre l’era più feconda della Vecchia Europa. Carlo fu un progressista, nonché moderno, rispetto a suo prozio Francesco Giuseppe. Fu il primo tra i sovrani europei ad installare i telefoni nel suo palazzo imperiale per le comunicazioni interne, il primo a guidare l’automobile, il primo a volare su un aeroplano. L’ultimo imperatore fu straordinariamente attuale anche nei rapporti con la moglie, l’imperatrice Zita, che trattò da pari a pari, impensabile per l’epoca. Un personaggio moderno, ma dalle radici antiche, quasi medievali, legate ad un atavismo di santi e cavalieri, che non facilitò l’imperatore nelle relazioni con la cinica diplomazia europea e americana d’inizio Novecento. Cresciuto in un ambiente in cui la parola data aveva un senso profondo, per il «gentiluomo europeo» era inconcepibile, ad esempio, il fatto che Miklós Horthy non mantenesse la propria parola. O che un uomo del suo entourage come il ministro degli esteri, Ottokar Czernin, approfittasse di un suo malessere per

mercoledì 28 novembre 2012

"Uomini, in piedi, in mezzo alle rovine"

"È importante, è essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed un'assoluta intransigenza l'idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell'uomo nuovo, dell'uomo della resistenza, dell'uomo dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di ordine vacillante e illusorio, solo a quest'uomo spetterà il futuro. Ma quand'anche il destino che il mondo moderno si è creato, e che ora sta travolgendolo, non dovesse esser contenuto, presso a tali premesse le posizioni interne saranno mantenute: in qualsiasi evenienza ciò che potrà esser fatto sarà fatto e apparterremo a quella patria, che da nessun nemico potrà mai essere né occupata né distrutta." (Julius Evola)

martedì 27 novembre 2012

La Blasonatura in Araldica.

Se lo scudo, accompagnato dai suoi ornamenti, è la rappresentazione grafica dello stemma, la blasonatura ne è la rappresentazione verbale. Nata dalla pratica dei tornei, dagli araldi (che daranno il loro nome all'araldica) e dalla necessità di costituire degli annuari affidabili (gli stemmari) con la doppia funzione di raccolta di identità e di deposito di elementi esclusivi, in un'epoca in cui l'illustrazione, soprattutto a colori, è una impresa di grande impegno, la blasonatura si sviluppa in un vero linguaggio, con vocabolario e sintassi, sorprendente per rigore e precisione, che permette di descrivere rapidamente e senza ambiguità i blasoni più complessi. Poiché l'identificazione araldica si è limitata per molto tempo ai soli elementi rappresentati sullo scudo, la blasonatura si riduce spesso a descrivere solo questo. Gli ornamenti sono diventati importanti solo più tardi, e la blasonatura completa ha avuto il compito di integrarli. Questa impostazione concettuale deriva dall'origine stessa dell'araldica, il cui nome deriva evidentemente da araldo, cioè da colui che, basandosi esclusivamente sui colori e sui disegni presenti sullo scudo, sulla gualdrappa dei cavalli o sugli stendardi che innalzavano, aveva il compito di riconoscere a distanza i cavalieri coperti da armature metalliche, e occultati anche nel viso. Bisogna tenere presente che l'araldica si sviluppa in un'epoca di scarsa alfabetizzazione, in cui anche chi sapeva leggere spesso lo faceva con fatica, compitando le lettere. Perciò non sarebbe stato efficace scrivere il nome o le iniziali del cavaliere sullo stemma, e anzi ciò è vietato dalle regole araldiche. La possibilità di riconoscere il sempre crescente numero dei segni distintivi individuali – i già citati stemmi – non poteva basarsi sulla disponibilità di costosi e voluminosi stemmari, ma si fondava sulla composizione e divulgazione di descrizioni che fossero costituite dal minimo numero possibile di parole pur mantenendo l'univocità di individuazione. I vari araldi si scambiavano, quindi, le descrizioni – la blasonatura – ricorrendo tutti ad uno stesso insieme di regole capaci di fornire loro il linguaggio comune. Questo è anche il motivo per cui quella parte dell'araldica che si occupa della descrizione degli stemmi è spesso definita come l'arte del blasone. Mentre si chiama araldica in senso stretto lo studio delle genealogie delle famiglie aristocratiche e dei loro titoli nobiliari. È chiaro che i due sistemi di rappresentare uno stemma sono destinati a due pubblici diversi. La rappresentazione grafica dello stemma è comprensibile a tutta la popolazione, in gran parte analfabeta. Invece la blasonatura è diretta soprattutto a una classe di esperti, gli araldi, che non sono solo in grado di leggere, ma conoscono anche il vocabolario tecnico dell'araldica, spesso usato in francese. Nei paesi e nelle epoche in cui lo stemma ha, o ha avuto, un effettivo valore di elemento univoco di riconoscimento delle persone o delle istituzioni, la concessione di uno stemma e la stesura della relativa blasonatura sono affidate a organi aventi valore legale e garantiti dallo stato, allo stesso modo in cui sono garantiti dallo stato i nomi e cognomi che hanno, per tutti, lo stesso valore univoco di riconoscimento. Nell'Italia attuale, ad esempio, lo stato non garantisce più il sistema araldico individuale e familiare – in quanto lo si ritenne direttamente connesso con i titoli nobiliari, non più riconosciuti legalmente con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1º gennaio 1948). Nel nostro Paese gli organi che si occupano ancora di araldica sono rimasti sostanzialmente due: il primo, di natura pubblica, è l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che continua a garantire l'araldica delle istituzioni civili e militari cui è stato concesso uno stemma; il secondo, di natura privata, è il Corpo della Nobiltà Italiana, costituito a Torino nel 1958 da alcuni studiosi italiani di storia, diritto, araldica e genealogia, che si sono assunti la funzione di accertare e di difendere i diritti storici di coloro che hanno diritto a un titolo nobiliare (e pertanto anche a uno stemma gentilizio, o di cittadinanza)[3].

L'Araldica come scienza ausiliaria della storia.

L'araldica, una delle scienze ausiliarie della storia, è la scienza del blasone, cioè lo studio degli stemmi. Essi sono detti anche armi o scudi, in greco άσπις, àspis, donde il sinonimo aspilogia. In altre parole, è quel settore del sapere che ha lo scopo di individuare, riconoscere, descrivere e catalogare gli elementi grafici utilizzati, nel loro insieme, per identificare in modo certo una persona, una famiglia, un gruppo di persone o una istituzione. Non rientrano tra gli oggetti di studio dell'araldica le bandiere ed i loghi o marchi di natura commerciale o industriale: le prime, perché a esse l'araldica fornisce solo la giustificazione storica e la base concettuale di costruzione, ma poi le abbandona al momento in cui esse vengono rigidamente regolamentate da leggi e decreti che riguardano la loro esatta riproduzione e dimensione; i secondi, perché si tratta di espressioni grafiche assolutamente rigide, immutabili e specificate nell'unica forma ammessa. Per chiarire meglio il concetto, basti ricordare, per il primo caso, alle discussioni sorte al momento della definizione delle esatte tonalità di colore della bandiera italiana: mentre in araldica il termine verde indica genericamente qualunque tono di colore che rientri nella definizione di verde, ma senza specificare un codice cromatico univoco da utilizzare. Nel secondo caso, si immagini a cosa succederebbe se un grafico dovesse riprodurre il logo della Coca Cola senza conoscerlo, ma basandosi esclusivamente su una descrizione orale ridotta all'essenziale; il suo disegno sarebbe, molto probabilmente, alquanto differente dall'originale. L'araldica invece vuole dare la possibilità a qualunque disegnatore, quale che sia il suo stile o l'epoca e il luogo in cui vive, di produrre un oggetto grafico – il cosiddetto stemma – che contenga tutte le informazioni essenziali per corrispondere senza alcun errore alla stringata descrizione dello stemma – definita blasone. Se il disegno è stato eseguito secondo le regole araldiche, chiunque conosca tali regole è in grado di ricostruire l'esatta descrizione semplicemente guardando il disegno. L'araldica si è sviluppata nel Medio Evo in tutta l'Europa come un sistema coerente di identificazione non solo delle persone, ma anche delle linee di discendenza (in quanto il blasone poteva essere trasmesso in eredità ed esprimere il grado di parentela), il che la rende malgrado tutto un sistema unico nel suo tempo. Non esiste una teoria veramente soddisfacente che possa spiegare la nascita e il repentino sviluppo dell'araldica, in tutti i paesi d'Europa.[1] La maggioranza degli studiosi la ritiene apparsa nel XII secolo con la nascita dei tornei, utilizzata dai membri dell'aristocrazia o nobiltà e del clero, ma è stata anche avanzata l'ipotesi che essa sia nata durante le Crociate, quando i cavalieri cristiani avrebbero imitato l'usanza islamica di distinguere i cavalieri per mezzo di emblemi, colori e disegni simbolici applicati sugli abiti e sulle bardature dei cavalli, sugli scudi e sugli stendardi, al fine di riconoscere alleati ed avversari[2], e in seguito si sarebbe diffusa a poco a poco in tutta la società occidentale, tanto che anche importanti famiglie ebraiche sentirono il bisogno di dotarsi di uno stemma. Per quanto riguarda l'Italia, la più antica immagine dell'araldica ebraica (1383) si trova in un manoscritto appartenuto ad un certo Daniele di Samuele, proveniente da Forlì e oggi al British Museum.

Cristina Jonghi Lavarini.

Stemma della Baronessa Dott. Cristina Emma Maria Jonghi Lavarini (figlia del Comm.Dott. Cesare Giovanni e della Contessa Dama Dott. Alda Ganassini di Camerati), Volontaria della Croce Bianca di Milano, Dirigente d'Azienda ed appassionata fotografa. Nella foto con Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele IV, Duca di Savoia e Principe di Napoli, Capo della Real Casa.

Stemmi Jonghi Lavarini a Milano.

Stemmi di famiglia presenti nella storica plazzina "fraterna" milanese (costruita nei primi anni del 1900) e nella casa privata del Nob.Arch. Edmondo Maria Jonghi Lavarini di Baio dei Baroni di Ornavasso.

Milano: Santa Messa per la Regina Elena.

lunedì 26 novembre 2012

Stemma Matrimoniale Jonghi Lavarini.

Antico Stemma Matrimoniale Jonghi Lavarini del Barone Giovanni Generoso Bartolomeo Jonghi von Urnavas, Ingegnere Idraulico e Capitano del Regio Esercito Sabaudo e della Nobile Marietta (Maria Caterina Virginia) Lavarini. Lo stemma si trova, sopra il camino, nella storica casa di famiglia ad Ornavasso, di Filippo Giuseppe Maria Besana, figlio del Professor Francesco (Medico Dermatologo) e della Baronessa Maristella Jonghi Lavarini.

venerdì 23 novembre 2012

Comunicato Ufficiale del Maestrazgo.

sábado, 20 de octubre de 2012Declaración de la Hermandad Nacional Mónárquica del Maestrazgo y Unión Institucional de Huelva Ante los posicionamientos ideológicos de abierto apoyo al capitalismo y al neoliberalismo de la actual jefatura del estado y su actual concepción de la forma de gobierno de las Españas, protectora de los fuertes contra los más débiles, que entendemos no son consonantes con los principios fundacionales de nuestras instituciones, basados en el Pacto Dinastía-Pueblo, y que se han impulsado e impuesto unilateralmente desde la actual presidencia de la junta rectora de la Hermandad Nacional Monárquica del Maestrazgo, miembros de Unión Institucional y la Hermandad Nacional Monárquica del Maestrazgo, hemos decidido desmarcarnos de esa junta rectora, y declarar, en ejercicio soberano de nuestra libertad, nuestra total independencia de ellos, agrupándonos en torno a la Hermandad Nacional Monárquica del Maestrazgo y Unión Institucional (P.S.R.-U.I.) de Huelva, cuya Presidencia y Delegación ad vitam fue creada con carácter "totalmente autónomo dentro de su ámbito jurisdiccional" por Acuerdo de la Junta de la Comisión Ejecutiva Permanente y firmado por los entonces Presidente Carlos Forcadell i Guarch y Secretario General Antonio Ramón Camps. Así pues, afirmamos nuestra lealtad a la Monarquía Legítima, y entendemos que el futuro de las Españas sólo puede estar unido al Rey Legítimo y a los principios ideológicos fundacionales de nuestras Instituciones que son Dios Patria Fueros Rey, hoy expresados en una acción social, autogestionaria y federal, como lo fue desde tiempos de nuestros predecesores y públicamente expresado por ellos durante décadas. Por ello, desde este momento, nos constituimos en plataforma social, abandonando completamente la figura de partido político, cuyo sentido hoy encontramos caduco y no concorde con nuestros objetivos, ya que sólo uno debe de ser el Partido que represente al Pueblo Carlista, y protegeremos el testigo, la lucha y la memoria de nuestras instituciones nacidas en lo más profundo del Pueblo y de aquellos valientes que dieron lo mejor de sí mismos por la Monarquía legítima, popular, representativa, social y regionalista. Dado en Ayamonte, a 19 de octubre de 2012. http://unioninstitucional.blogspot.com.es/2012/10/declaracion-de-la-hermandad-nacional.html

mercoledì 21 novembre 2012

Associazione Internazionale della Nobiltà Germanica.

Il Nob.Cav.Dott. Roberto Jonghi Lavarini, Freiherr von Urnavas, Delegato per l’Italia della Walser Uradel Kulturverein, per i suoi meriti culturali nei confronti dalla Internationaler Adelsverband (Associazione Internazionale della Nobiltà Germanica), ha ricevuto la Kommandekreuz (Commenda) dell’Adler Orden (Ordine dell’Aquila di Prussia) da Frèderic Prinz von Anhalt.

venerdì 9 novembre 2012

Alessandra d’Epiro Dusmet de Beaulieu.

La Marchesaa Alessandra d’Epiro Dusmet de Beaulieu dei Principi Reali d'Epiro, Dama di Gran Croce dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio e dell'Ordine Capitolare della Concordia, è artista e scrittrice di fama internazionale, donna di cultura, molto impegnata anche nel sociale.
Per Cristo e per il Re II Cavaliere delle Crociate lascia tutto in nome della Croce, compiendo la propria missione del Regno del Re dei Re con l'uomo partecipe della divinità di colui che assume l'umanità, non perché egli lo vuole ma perché Dio lo vuole, Deus lo vult. Dice Juan de Calahorra: "Se Dio è come i! fuoco, che io ne sia bruciato; se è come acqua, che io anneghi in essa; se è terra, che io scavi in essa la mia vita..." E Miguel de Cervantes: "// mondo è campo dato da Dio per compiere gesta magnifiche per una grande causa ...e il Crociato è eroe, pazzo, poeta e cavaliere". Il Cavaliere delle Crociate scopre una antica, universale, preziosa preghiera armonia di cuore e di mente, fonte di pace e di conoscenza: ìl Rosario, da rosaio Corona di Rose che trionfa sulla Corona di Spine e converge su Cristo, Mantra e Ajapamantra in India, Mala nell'invocazione a Buddha Amida, Kombològion o Komboskòinon dei cristiani d'oriente, Subha o Tashbì del Dhikr dell'Islam. Papa Pio V nella bolla Consueverunt (17,9,1569) definisce "il Rosario" un "modo di orazione" che contempla la Venerazione di Maria e la "Salutazione angelica per centocinquanta volte secondo il numero dei salmi di Davide" interponendo ogni dieci Ave il Pater ed i Misteri "che illustrano tutta la vita dello stesso Signore nostro Gesù Cristo". La Lega Santa Cristiana (1571) unisce Spagna, Cavalieri di Malta, Genova, Savoia, Venezia, Stato della Chiesa ed in Vaticano Papa Pio V prega ... "T'invoco o Signore ...ascolta la mia voce" (Salmo 129) ... "Fa che ...io conosca la strada che devo percorrere" (Salmo 142). All'alba il Pontefice legge (dall'Ultimo Vangelo del Primo Capitolo di San Giovanni) "Vi fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni" ed annuncia: "II Supremo Comandante della flot­ta della Lega Santa sarà Don Juan d'Austria ... questa è la volontà di Dio, Deus lo vult". Juan d'Austria, soltanto all'Escorial accanto a suo padre l'Imperatore Carlo V, personalità emble­matica di vizi e di virtù, di peccato e di fede, conclusi appena i giochi da bambino tra Mori e Cristiani preludio di Granada e di Lepanto, vive all'Università di Alcalà de Henares il rinnovamento teologi­co della Biblia Poliglota e si dedica ad esercizi spirituali ad Abrojo de Valladolid con Juan de Calahorra che predice: "Se volete essere qualcosa, andate dove non siete niente, se volete avere qualcosa, andate dove non avete niente ...vi prometto la vittoria in nome di Dio". A Napoli nella Chiesa di Santa Chiara i francescani accolgono Juan cantando il Te Deum; il Cardinal Granvella dona al Generalissimo il triplice bastone ornato di pietre preziose e la Bandiera della Lega Santa; sul damasco blu la grande immagine di Cristo Redentore, lo Stemma Papale, tre barre rosse in campo d'argento, il leone della Repubblica di San Marco e l'usbergo della Casa d'Austria: "Ricevete questi emblemi della fede ...possano essi darvi gloriosa vittoria ..." - "Amen" risponde Juan. I Cavalieri di Malta di Jean de la Valette che sventolano la bandiera vittoriosa sulle torri delle Fortezze di Sant'Angelo, Sant'Elmo e San Michele sono nel cuore di Juan quando una stella caden­te illumina di auspici la notte di Lepanto, frantumandosi in tre meteore. All'alba del sette ottobre i! condottiero del cielo e del mondo, di Dio e degli uomini, pensa: "Se Dio guarda giù dall'alto dei cieli, vede fronteggiarsi nel mare la Croce e la Mezzaluna di prore, fiocchi e bandiere". Le braccia della Croce della flotta cristiana contemplano quattro vessilli sovranazionali di colori diversi: in avanguardia Don Juan de Carduna, bandiera blu; a destra Ammiraglio Doria, bandiera verde; a sinistra Agostino Barbarigo, bandiera gialla; al centro il Generalissimo con la nave dell'Ammiraglio Colonna a tribordo e quella dell'Ammiraglio Venier a orza; in retroguardia il Marchese di Santa Cruz, bandiera bianca. Juan, il Toson d'Oro sopra l'armatura di acciaio nero con fibbie d'argento e sotto la Reliquia della Vera Croce, regala molti Rosari, ordina di issare la Bandiera della Lega Santa ed esorta: "Siamo qui per vincere o morire... combattete nel nome di Dio ed in morte o nella vittoria conquisterete l'im­mortalità". II sole allo zenit rende brillanti le armature di ottantamila cristiani inginocchiati dinanzi al Crocifisso dell'albero di trinchetto di ogni nave della flotta e qualcuno esclama: "Madre di Dio! ...Il vento sta cambiando ... spinge le vele in avanti” E qualcuno ricorda: "II Signore suole soffiare nel cuore come un'aura gentile" (Vecchio Testamento)... Juan, l'ultimo crociato alza la spada: "Per Cristo e per il Re!” Quando si compie il kismet del Libro della Vita e l'ampio, verde drappo della Sacra Bandiera del Profeta cade accanto ad un tabarro di broccato d'oro, Papa Pio V in Vaticano apre la finestra e ascol­tando la voce del silenzio si rivolge alla Madre di Dio: "Salus infìrmorum .. Refugìum peccatorum ...Consolatrix afflictorum ... Auxilium cristianorum ...". La luce dei fulmini dì un violento temporale, araldo di Dio, scrive nel cielo e nel mare intrisi di san­gue "Fratellanza tra vincitori e vinti dinanzi all'onnipotenza divina". L'ultima crociata di Lepanto è per Miguel de Cervantes, testimone combattente, "L'avvenimento ... che mai videro i secoli passati ... né mai vedranno i futuri” e per Papa Urbano VII di significato solo gradualmente e parzialmente accessibile ai limiti della mente umana. Papa Pio V attribuisce l’esito della battaglia di Lepanto alla particolare assistenza della Madonna del Rosario a cui dedica e consacra il giorno sette ottobre istituendo nella Chiesa la celebrazione della Festa del Rosario. Papa Giovanni Paolo II, indicendo l'Anno del Rosario nella sua Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae (16,10,2002) aggiunge i Misteri della Luce ai Misteri del Gaudio, del Dolore e della Gioia ed affida: " A Maria, Regina del Santo Rosario", sorgente di grazia e di grazie "Il bene prezioso della pace" (Oss. Rom. 5,5,2004). Alessandra d'Epiro Dusmet de Beaulieu © COPYRIGHT 2006 All rights reserved - Proprietà letteraria ed artistica riservata Alessandra d'Epiro Dusmet de Beaulieu no part of this web site pictures, images, articles, books,may be reproduced or transmitted in any form or by any means electronical or mechanical including photocopying, recording, or by any information storage and retrieval system without permission in writing from the author;every effort has been made to trace copyright holders and any rights will be aknowledged if notice is given to the author. (1) Louis de Wohl, pagg. 251,252,253, 32 Riferimenti bibliografici: Louis de Wohl .The last crusader- L'ultima crociata. il ragazzo che vinse a Impanio, BUR RCS Libri Milano 2003. Enrique Garcia Hernan, La accion diplomatica de Francisco de Borja al servicio del Pontificado, 1571-1572, Valencia 2000 Hugo Rahner, Ignace de Loyola. Correspondance avec les femmes de son temps, 2 voll, Paris http://www.alessandradepirodusmetdebeaulieu.net/sito/homeframe.htm